OITNB, la serie TV che rende l’arancione più cool del nero, ma…
“Orange is the new black“ (OITNB) è una serie televisiva del 2013, esclusiva Netflix, molto famosa e probabilmente molti di voi l’avranno vista, ma sapevate che è ispirata a una storia vera?
Piper Chapman, la protagonista, veste infatti i panni di Piper Kerman, una WASP (acronimo di White Anglo-Saxon Protestan), per sua stessa definizione, di Boston rimasta coinvolta in una relazione romantica con una trafficante di droga per la quale ha iniziato a riciclare denaro proveniente da tali “giri”.
Nel ’98 Piper Kerman è stata indiziata per riciclaggio e, ritenuta colpevole, ha iniziato a scontare la pena di 15 mesi in un carcere femminile del Connecticut presso l’Istituto penitenziario di minima sicurezza di Danbury. Dopo aver scontato la pena, nel 2010 ha pubblicato e sue memorie divenute il Best Seller “Orange is the new black: my year in a women’s prison“, da qui prendono spunto la serie televisiva e le avventure di Piper Chapman nel carcere federale di minima sicurezza di Lichfield.
Sin dalle prime puntate ho capito che era una serie da vedere: cinica e realista, un’arguta critica sociale verso la società, in particolare quella Americana.
Piper Chapman si trova in carcere per gli stessi motivi di Piper Kerman e cosa accade appena si aprono per lei, e per noi, le porte di Litchfield? Incontra innanzitutto Alex Vause, la trafficante di droga della quale era complice e amante; ma non solo, incontra molte persone con alle spalle diverse storie, tutte probabili; non ho letto le memorie di Piper Kerman ma consiglio e mi autoconsiglio di farlo per scoprire quante siano vere.
Piper è decisamente un pesce fuor d’acqua in un ambiente criminale pur essendo una criminale lei stessa, questo già fa riflettere: lei si trova insieme a rapinatrici, mafiose, allibratrici, spacciatrici, tossiche, ladre… provenienti da ambienti molto diversi dal suo così benestante. Sono altrettanto diverse le ragioni che hanno spinto le sue compagne di prigione a commettere reati, alcune più comprendibili di altre il che non porta certo a giustificare i crimini in sé, ma per lo meno a vedere diverse sfumature utili ad attribuire pene adeguate non forse tanto al crimine ma alle motivazioni che hanno portato al crimine stesso, sempre che di pene riabilitative, e non punitive, si voglia parlare.
L’aspetto interessante di questa serie TV è infatti che tramite i molti flashback si è capaci di demolire i giudizi iniziali sui personaggi e i pregiudizi reali insiti in ognuno di noi; non so come spiegare meglio la sensazione se non dicendo che al termine di alcuni flashback o scoprendo nelle varie puntate le sfaccettature dei protagonisti mi sono ritrovata a pensare “mh!” con un certo imbarazzo, lo ammetto.
Non spaventatevi, non è certo una serie noiosa! Anzi, vi ritroverete a pensare anche “voglio vivere a Litchfield anch’io!“, o quasi. Dopotutto il significato del titolo è “L’arancione è il nuovo nero” quindi “La vita dietro le sbarre è cool”; arancione é infatti il colore della divisa delle carcerate e diventa il nuovo nero, che é sempre fashion. Curiosità: la divisa delle detenute di Lichfield è color kaki, ma arancione è il colore della divisa provvisoria appena si entra in carcere e prima della cosiddetta “assegnazione” e cioè l’essere assegnate, appunto, a una sezione del carcere; è con l’arancione che inizia tutto.
Nella serie il personaggio che meglio incarna i pregiudizi e le contraddizioni dell’americano WASP tipico è il capo delle guardie e consulente Sam Healy: comprensivo verso Chapman perché “una di loro”; ritiene infatti che Piper sia fuori posto e fa di tutto per farla sentire a suo agio in carcere finché, però, non scopre la sua relazione con Alex. Attraverso questo evento si scopre la sua omofobia e la sua misoginia, sentimenti che lo portano a punire Piper con la detenzione in isolamento, senza dare spiegazioni, probabilmente perché Sam, e coloro che rappresenta, ritiene giusto il pensiero ma vergognoso esternarlo.
Alcuni personaggi che sono stati per me commoventi:
- Tasha Jefferson detta “Taystee“, una ragazza di colore che ha passato tutta la vita tra orfanotrofi e case di accoglienza, sfruttata per la sua condizione (le famiglie ospitanti ricevono sussidi per ogni ragazzo disagiato ospitato). Ma nonostante questo rimane sulla retta via finché non incontra Vee (Yvonne Parker), una delle “benefattrici” che sfrutta i ragazzi non solo per il sussidio ma anche per il traffico di droga nel quale coinvolge Taystee per usare le sue doti di venditrice e di calcolo dei profitti del giro di affari. Tuttavia rimane sempre viva la sua natura: cerca di superare ogni ostacolo e tenta disperatamente di afferrare una vita normale. Purtroppo è uno dei personaggi la cui vita ha un epilogo tragico, a causa del sistema giudiziario americano o, per meglio dire, del “Sitema America”. (“mh!”)
- Poussey Washington: figlia di un Maggiore dell’Esercito Americano traferito in Germania. Qui Poussey conosce la figlia dell’Ambasciatore tedesco con la quale ha una relazione. Scoperte dal padre, il Maggiore e la figlia vengono riassegnati negli Stati Uniti e la relazione tra le due ragazze si interrompe. Rientrata in Patria inizia un traffico di marijuana e viene per questo arrestata. È un personaggio positivo, è colta e volenterosa, infatti diventa molto amica di Taystee con al quale lavora nella biblioteca della prigione.
- Gloria Mendoza: finisce in carcere per frode di piccola entità. La classica “Mamy”, suo unico pensiero sono i figli lasciati alla sorella Lourdes per il periodo del suo “soggiorno” a Litchfield. In carcere fa da seconda mamma un po’ a tutti compresa alla connazionale e amica Aleida Diaz, trafficante di droga e socia del compagno Cesar: insieme producevano droghe nella cucina di casa nella quale scorrazzavano i molti figli dei quali nessuno dei due se ne prendeva cura. Anche una figlia di Aleida, Dayanara Diaz, finisce in carcere per lo stesso motivo della madre e Gloria anche di lei si occupa; inevitabile il destino di Daya in quanto nessun supporto è stato dato ai figli di Aleida costretti a cavarsela da soli (“mh!”). Madre e figlia hanno un rapporto tumultuoso, Dayanara durante una rivolta in carcere sparerà a una guardia e aggiungerà l’omicidio alla sua pena (e dunque verrà condannata all’ergastolo). Gloria, nelle diverse situazioni che le coinvolgono, ha occhi ovunque e cerca di proteggere sia Aleida che Dayanara, tenta di farle riappacificare e far in modo che tutti gli animi restino calmi.
- Sophia Burset: transgender ex vigile del fuoco (al secolo Marcus Burset). Condannata per frode con carte di credito dalle quali rubava denaro per finanziare l’operazione e le terapie ormonali. Il suo atteggiamento in carcere è molto pacifico, nonostante un periodo lunghissimo passato in isolamento, e produttivo, lavora infatti come parrucchiera all’interno della prigione. Mi ha fatto riflettere un episodio che la riguarda: durante una disquisizione sull’anatomia femminile è emersa molta confusione tra le carcerate, è lei (ex lui) a fare chiarezza, attraverso tanto di disegni, riguardo a “come siamo fatte là sotto”, il che mi ha fatto ridere perché è paradossale, ma anche riflettere perché Sophia, nata uomo, ne sapeva di più delle sue compagne di carcere e questo è dovuto al fatto che aveva scelto di esserlo. Ciò che merita rispetto qui non è il cambiar sesso ma la presa di coscienza e l’autodeterminazione: ben sapeva cosa significava essere uomo ma ha scelto di essere donna. Vedo in questo un parallelismo: io, di educazione cristiana cattolica, ho studiato (non da teologa ma da curiosa) altre religioni e mi sono identificata nell’agnosticismo, conosco chi da cristiano è diventato musulmano (sempre con coscienza), e tutti sappiamo di conversioni di diverso tipo e genere. Ma il punto è: merita più rispetto chi decide con coscienza chi è e chi vuole essere… perché è così, si può anche rimanere della stessa idea purché lo si sappia argomentare.
Non che gli altri personaggi siano di minore importanza, anche perché ogni personaggio ha diverse sfumature ed è pressoché impossibile stilare un elenco completo di nomi, pregi e difetti.
Se proprio devo pensare a un “elenco dei peggiori” inizierei proprio con Piper Chapman: non aveva motivo di delinquere, viveva una vita agiata. Inoltre dietro le sbarre dà il via a un commercio illecito verso l’esterno di biancheria usata coinvolgendo altre detenute (pagate per indossarle) e il fratello (libero) a commercializzarle online. Al fianco di Piper aggiungerei:
- Nicole Nichols, detta “Nicky“: ricca di famiglia ma dedita alle droghe. In carcere si dimostra tanto sarcastica quanto comprensiva, è molto intelligente, sagace e acculturata. Un personaggio positivo ma probabilmente è “dentro” perché se l’è andata a cercare e solo sotto questo aspetto biasimo il personaggio.
- Judy King, la super guest star di Litchfield: un personaggio televisivo, famoso per le sue trasmissione di cucina ma finita in carcere per evasione fiscale. La sua intenzione di commettere un illecito era davvero forte perché aveva sia ricchezza che fama. Anche lei trattata coi i guanti dalle guardie data la sua condizione “VIP”, ma si rivela presto una persona per niente pentita, con forti pregiudizi, razzista e senza scrupoli quando si tratta di poter approfittare di una situazione. Anche fuori dal carcere fa di tutto per sfruttare la sua parentesi dietro le sbarre per “raccontare un’altra bella favoletta” ai suoi telespettatori.
- Desi Piscatella: una guardia che abusa del suo potere per maltrattare le carcerate. muore durante una rivolta ma per mano della polizia che fa irruzione in carcere, insabbieranno poi tutto. Come colpevole, causa ingarbugliati intrecci sarà poi additata… Indovinate chi? Niente spoiler!
- Thomas Humphrey: un’altra guardia (andiamo bene!): costringe una detenuta puntandole una pistola alla tempia a mangiare un cucciolo di topo ancora vivo, prendendo spunto da una conversazione stupida tra detenute del tipo “preferireste mangiare 10 mosche morte o un cucciolo di topo?” Così ha risposto la malcapitata e così l’ha costretta a fare, ma buone notizie! Muore, e per mano di? Ah-ah, l’ho detto, niente spoiler!
Oltre alle storie dei personaggi, emergono molte tematiche dalla serie.
- Immigrazione: molte detenute non sono in possesso della Green Card e a causa di questo alcune saranno poi deportate. Su questo tema, molte contraddizioni: una detenuta Lorna Morello Muccio di evidenti origini italiane, spesso si dimostra razzista nei confronti delle ispaniche e delle persone di colore, come se lei si sentisse Americana. Ovviamente la distinzione non è data dalla nazionalità, ma dal colore della pelle: Galina Reznikov, detenuta-cuoca della prigione, detta “Red” a causa del colore dei capelli e la consonanza con il cognome, è una donna russa di carnagione chiara, lei non è mai stata oggetto delle sue critiche, anzi le due facevano parte della stessa “famiglia” in carcere.
- Educazione: spesso è l’ignoranza che le porta a commettere illeciti. Tiffany Dogget, detta “Pennsatucky” (storpiatura del nome Pennsyltucky, slang utilizzato per etichettare persone provenienti dall’aree rurali di Pennsilvanya e Kuntucky) è una ragazza poco colta e dislessica, ma scopre di esserlo solo in carcere durante un corso e non a scuola (mh!). Ex tossica e simbolo di quell’America culturalmente arretrata che confonde fede con nazionalismo, convinta che sia legittimo uccidere chi ti offende: Dogget stava infatti abortendo per l’ennesima volta quando uccise l’infermiera che ironizzava sulla quantità di aborti eseguiti. Uscita dalla clinica e consumato il reato viene osannata da militanti anti-aborto che la vedono come simbolo della lotta contro questa pratica omicida, ma sostenendo la liceità dell’omicidio commesso (eh beh! Non fa ‘na piega!).
- Inadeguatezza del sistema: l’eccessiva privatizzazione del carcere porta la gestione di Lichfield al collasso. Le detenute daranno inizio alla rivolta a causa del degrado delle condizioni all’interno della prigione. Durante la prima fase della ribellione accade infatti qualcosa di terribile per mano di una guardia inesperta: a seguito di un cambio di amministrazione, dedito al risparmio più che al benessere delle detenute, i nuovi secondini si rivelano assolutamente non qualificati, alcuni psicopatici e pericolosi (come Piscatella e Humphrey), altri semplicemente inadeguati. Uno di questi ultimi è Baxter Bailey, un 21 enne del tutto impreparato che durante una rivolta in carcere soffoca con il ginocchio una detenuta (chi?) mentre la teneva schiacciata a terra. In un episodio precedente Bailey aveva già dato segni di non essere all’altezza: durante un’animata, ma comunque conviviale, partita di Uno tra detenute, il giovane secondino, preso da eccessiva ansia, utilizza sulle giocatrici spray al peperoncino. Insomma, un ragazzino messo a fare la guardia carceraria come se fosse un qualsiasi lavoro estivo, e né datore di lavoro né dipendente hanno mai pensato, prima del tragico epilogo, che probabilmente non era il caso. Ma forse in America il secondino è davvero ritenuto un qualunque lavoro da dipendente? (mh!).
- Uguaglianza: pian piano un’altra presa di coscienza si è fatta largo: è dentro il carcere Piper scopre l’uguaglianza, non certo fuori dove il mix di diseguaglianza o per meglio dire una sorta di “uguaglianza selettiva” ha dato origine a molti di quei crimini, non “fuori” dove, per usare un’equazione matematico-sociale, bianco uguale a bianco ma diverso da nero che a sua volta è diverso da ispanico e così via. Piper infatti non è più una WASP, è una detenuta di Litchfield.
Vedendo lo “stare dentro” da fuori si scoprono diversi caratteri, storie, nazionalità, ma c’è una macro area che, questa volta, appiana le differenze: la detenzione. Una volta dietro le sbarre non sei e non sarai più ciò che eri, non importerà più nazionalità, colore della pelle, estrazione sociale e culturale, sei una detenuta e questo sarà ciò ti porterai dietro anche in futuro. Qui ho iniziato a pensare a un altro significato per il titolo: l’arancione è la nuova discriminazione.
Quanti di voi hanno visto questa serie TV e quali sono le vostre riflessioni? 🙂
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